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Quando “diversamente abile” significa migliore

Avete mai pensato che “diversamente abile” possa talvolta, se non spesso o sempre, significare “migliore”? Io lo penso spessissimo.

In questi giorni ho letto con amarezza le critiche mosse nei confronti della schermidora paralimpica Beatrice “Bebe” Vio. Pare si sia macchiata dell’onta di aver accettato un invito a cena alla Casa Bianca. Sinceramente: quanti di noi avrebbero declinato cotanto invito, benché recapitato dal non amatissimo premier Renzi?

Come qualsiasi diciannovenne che si rispetti, ha vissuto questa grande esperienza con l’entusiasmo e l’incoscienza tipici della gioventù. Perché lei è un’adolescente!

Certo, Bebe non è un’adolescente come tutte le altre. Lei è una campionessa paralimpica, una schermidora di grande livello sulla pedana come nella vita. Lei ha saputo dare la stoccata vincente a quella malattia (una meningite fulminante) che a soli undici anni le ha portato via gli avambracci e le gambe e le ha lasciato segni indelebili sul corpo e nell’anima.

img_20161022_012025Beatrice sorride nonostante tutto: nonostante le difficoltà che ha sicuramente dovuto affrontare, la sofferenza patita, gli sforzi per riconquistare quella normalità che pareva le fosse stata strappata. Ha un sorriso, una simpatia ed una gioia di vivere disarmanti. E spiazza chiunque con la sua verve, con la sua fresca genuinità. È coinvolgente: quando arriva lei sulla pedana o alla Casa Bianca… non ce n’è più per nessuno! Persino Obama si è fatto contagiare facendosi un selfie con la nostra campionessa, in barba alla rigida etichetta del cerimoniale.

Eppure qualcuno ha trovato il modo ed il tempo di criticarla. Gliene han dette di tutti i colori: hanno criticato in primis di aver accettato l’invito, invito fatto alle “eccellenze” italiane. Come se lei non fosse una delle vere eccellenze del nostro Paese. Forse nella compagine partita per gli States Bebe è l’eccellenza tra le “eccellenze” made in Italy.

E poi hanno criticato il suo abito firmato Dior (prezzo 20.000,00 euro) che le è stato prestato dalla maison proprio per farla andare al grande appuntamento come “la più bella del reame”. Han detto che l’abito è brutto (e ci può anche stare visto che non abbiamo tutti gli stessi gusti); che costa troppo, salvo poi venire a sapere che si è trattato un prestito. E qui un “tié” ai moralisti/economi ci sta benissimo!; che non è adatto a lei. Avrebbe forse dovuto preferire la “bellissima” tuta indossata alle Paralimpiadi? O forse una ragazza “diversamente abile” non ha diritto alla sua femminilità?

In tutte queste critiche io vedo solamente frustrazione, cattiveria gratuita e tanta invidia da parte dei “leoni da tastiera” che vomitano le loro cattiverie in rete nascondendosi dietro uno schermo. Magari a criticarla son state le stesse persone che, quando la nostra giovane campionessa saliva sul podio di Rio, hanno postato i video delle sue vittorie nell’intento di mostrare un enorme orgoglio tricolore.

img_20161022_011223Ma se questo orgoglio c’è davvero, perché scagliarsi contro Beatrice per una cena con Obama & co.? La sua partecipazione, in fondo, era dovuta. Uno sportivo che indossa i colori del proprio Paese non può sottrarsi se la sua Nazione chiama, sul campo e fuori. L’Italia chiama e lei risponde per quell’attaccamento alla bandiera che le fa onore e che, invece, tanti di noi han perso. Ed a farcelo perdere è sicuramente stata la politica, con le sue illusioni puntualmente disilluse, con le sue promesse accuratamente non mantenute.

Beatrice ha dimostrato a tutti, nessuno escluso, che una disabilità non può e non deve fermare la vita, non può tarpare le ali se c’è la voglia di volare. Ha vinto anche questa volta, contro tutti i suoi detrattori.

Lei, “diversamente abile” è migliore di noi, più abile a vincere la vita.

Florinda

Florinda

Nata a Bari e cresciuta nell'hinterland, zitella per scelta altrui, da sempre "personaggio" controcorrente, si spende affinché la Cultura diventi di moda più dei tatuaggi (lei ne ha 9... per ora!) e i giovani imparino che essere individualisti (con una puntina di egocentrismo) è decisamente più appagante del farsi inglobare in un unicum omologato fatto di rituali e convenzioni. Se un dio esiste, lei gli ha chiesto in dono un cervello funzionante rinunciando ad un bel décolleté!

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