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Joker: quando la fantasia diventa fin troppo reale e destabilizzante.

Sono passate settimane dalla diffusione in tutte le sale cinematografiche d’Italia del film Joker. Ormai lo han visto pure i sassi perciò non temo di cadere nell’insopportabile e snervante limbo dello “spoiler”. Comunque, questo mio pezzo non vuole raccontarvi la trama né essere una recensione del film. Quindi, miei cari Lettori, se non lo avete ancora visto, non preoccupatevi.

Io ho visto “Joker” già due volte. Tranquilli! Lo avevo capito e amato sin dalla prima visione, ma alla seconda l’ho amato ancora di più. Credo sia una di quelle pellicole che entrerà prepotentemente nel novero dei grandi film, al fianco di titolo come “Taxi driver“, “Arancia meccanica“, “Shining“. E sono proprio questi i film a cui, forse, gli sceneggiatori di “Joker” si sono ispirati ed è nella scia della follia dei vari Travis Bickle, Alex DeLarge e Jack Torrance che si innesta la spirale di discesa verso la follia di Arthur Fleck/Joker.

Joaquin Phoenix Vi starete chiedendo il motivo che mi abbia spinto a tornare a scrivere dopo tanto tempo lontana dal mio blog proprio di questo film. Presto detto: non sono qui ad elogiare il film in sé (già vincitore del Leone d’Oro a Venezia) o la magistrale interpretazione di un Joaquin Phoenix in odore di Oscar come Miglior Attore Protagonista. Quello lo lascio fare ai critici cinematografici.

Sono qui a dirvi che “Joker”, pellicola vietata ai minori di 14 anni per la sua violenza, è un’opera che DEVE farci riflettere.

Il film, a mio avviso, si rivela come il pretesto per fare denuncia sociale. Sì! “Joker” descrive crudamente ciò che cova sotto la cenere dell’ipocrisia e del perbenismo della società contemporanea dei Paesi del nostro “ricco” Primo Mondo. E lo fa, ahinoi, estrapolando senza enfasi narrativa il personaggio dal mondo fantastico di supereroi e antieroi tutti dotati di superpoteri, supermacchine, armature scintillanti e indistruttibili (quando non hanno ridicole tutine attillate che “Roberto Bolle togliti di mezzo!”) e offrendolo alla concretezza del nostro vivere.

Iniziamo a riflettere partendo dallo scenario: Gotham City. La città è da sempre (e non a caso!) la rappresentazione fantastica di New York e La Grande Mela, a sua volta, altro non è che un denso concentrato di tutta la nostra società, con le sue enormi zone d’ombra e i suoi piccoli posti al sole.

Siamo di fronte ad una enorme città in cui la stragrande maggioranza della gente si dimena come tonni nella rete durante la mattanza. Persone che vivono o provano a vivere con dignità i loro problemi di salute, economici, sociali. Gente che sogna e poi si risveglia nell’incubo della realtà.

Arthur Fleck E poi c’è lui, Arthur Fleck. Un invisibile. Una di quelle vite che, ci fosse o meno, il mondo andrebbe avanti lo stesso. Un uomo con un lavoro sottopagato (e poi disoccupato), con problemi di salute e una madre altrettanto malata a cui badare. Un uomo solo, senza una reale vita sociale o affettiva. Un uomo abbandonato a se stesso da una società che taglia i fondi all’assistenza e che è cieca, sorda e muta al cospetto del malcontento generale. Quel malcontento che, poi, esplode in tutta la sua violenza che è figlia della frustrazione, del disincanto. Una violenza, diffusa e incontrollata, spinta inconsapevolmente dalla follia di un singolo, di quell’ultimo invisibile che, troppo debole, perde la ragione.

Arthur Fleck, insomma, è la cartina tornasole di un mondo, il nostro, malato e marcescente. Il Joker, con la sua risata sofferta,delirante e straziante, diventa, così, il nostro vicino di casa, il nostro collega di lavoro,… UNO DI NOI, nessuno escluso!

E, lasciatemelo dire: questa cosa fa tremare i polsi!

Meditate gente, meditate.

 

La risata di Joker

Florinda

Florinda

Nata a Bari e cresciuta nell'hinterland, zitella per scelta altrui, da sempre "personaggio" controcorrente, si spende affinché la Cultura diventi di moda più dei tatuaggi (lei ne ha 9... per ora!) e i giovani imparino che essere individualisti (con una puntina di egocentrismo) è decisamente più appagante del farsi inglobare in un unicum omologato fatto di rituali e convenzioni. Se un dio esiste, lei gli ha chiesto in dono un cervello funzionante rinunciando ad un bel décolleté!

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