SindacA… MinistrA… Avvocata… Architetta… sono l’avanguardia del femminismo 4.0, cioè del femminismo targato terzo millennio.
Pare, infatti, che solamente in questo terzo millennio le donne siano state introdotte alla lettura e, quindi, alla cultura con buona pace di Rita Levi Montalcini, Margherita Hack e della sicilianissima Natalia Ginzburg. Sia chiaro: i loro nomi non sono i primi che mi son saltati in mente, a caso; li ho scelti con cura, ritenendo queste donne dei veri e propri simboli del Femminismo, quello con la effe maiuscola.
Solo negli ultimi due o tre lustri, dunque, le donne avrebbero iniziato ad analizzare la lingua italiana rendendosi conto di quanto sia “genericamente scorretta”. Tutte le loro antenate, dalle suffragette made in Italy alle linguiste del Novecento, non si sarebbero mai accorte, al pari di tante belle addormentate nel bosco se non già di altrettante galline lobotomizzate, di questo sessismo imperante nell’italico idioma. Ma ne siamo così sicuri? Non sarà forse che per loro le problematiche fossero altre, altrove e ben più gravi di una desinenza?
Attenzione! Io non sto contestando la correttezza grammaticale delle parole declinate al femminile (Crusca docet). Tuttavia, non credo e non accetto che il dibattito femminista di questi ultimi tempi debba essere relegato a una mera questione linguistica. Eppure questo è ciò che sta avvenendo. In questi giorni ho fatto alcune ricerche: libri su libri puntano il dito contro il maschilismo sciovinista di cui è pregna la nostra lingua. E giù con mille spiegazioni su quanto sia corretto il lemma architettrice perché è riportato in un testo antico. Se è per questo, pure “petaloso” era stato usato secoli addietro, ma non è bastato alla Crusca per reinserirlo nei moderni dizionari. E qui, citando il buon Lubrano, “la domanda nasce spontanea”: ma siamo davvero sicuri che tutte le femministe 4.0 conoscano sì bene il latino da richiamarlo ad avvalorare le loro tesi revisioniste della grammatica italiana? Io non ci metterei le mani sul fuoco!
Io, al contrario, sono arciconvinta che al Femminismo reale (sempre quello con la effe maiuscola) importi davvero poco della declinazione maschile o femminile delle parole. Le parole sono solo parole. Diventano offensive o razziste se se ne fa un uso offensivo o razzista. E potrei giurare che alle vere femministe non rechi alcuna offesa essere chiamate sindacO, ministrO, avvocatO, architettO,… Casomai ne fanno un punto d’orgoglio! Assurgere ad incarichi, ruoli o professioni che per secoli sono stati esclusivo appannaggio maschile non può essere altro che motivo di soddisfazione e un goal segnato dal Femminismo (della serie “Ci sono riuscita, in barba a preconcetti e stereotipi. Gnegnegné!”).
Questo mio discorso farà sicuramente inorridire molte femministe (con la effe minuscola) ed i miei stimati accademici della Crusca. Ora: io sono Femminista fin nel midollo!!! E proprio perché Femminista mi sento offesa da tanto sproloquiare sulla necessità di cambiare il nostro nobile e meraviglioso Italiano, spesso ridicolizzandolo. Ok. Sarà anche il frutto di un retaggio maschilista, ma davvero questa delle desinenze sta diventando una questione di lana caprina! C’è ben altro di cui occuparsi come, ad esempio, il diverso trattamento economico sul lavoro o, a parità di curriculum, la penalità data dall’avere un utero e un’età fertile.
E mi sento terribilmente offesa ed estremamente indignata quando le femministe parlano di “quote rosa” (come accade in politica) o le difendono a spada tratta come unica altra arma, dopo le vocali, nella lotta per la parità tra i sessi. Le quote rosa messe sullo stesso piano delle categorie protette!!! Siamo forse, noi donne, una categoria protetta? Non lo siamo. Avere la vagina al posto del pene non comporta alcuna penalizzazione (il gioco di parole non è intenzionale!), né fisica né mentale. Le categorie protette sono sacrosante, ma ho controllato l’elenco e “donne” non vi compare.
L’accettazione delle quote rosa è, dunque, un balzo indietro nella lotta femminista, un ritorno a quegli anni in cui alle donne-esseri-inferiori veniva concesso di prender parte alla società maschile, a condizione che fossero poche, quasi invisibili e si fingessero stupide q.b. E qui non posso non ricordare nuovamente la Montalcini affiancandola, a ‘sto giro, a Katherine Johnson: due donne, una di famiglia ebraica torinese durante il Fascismo e l’altra afroamericana con un impiego alla NASA negli USA post-segregazione razziale; due grandi donne che hanno combattuto una battaglia molto dura perché hanno sradicato sia i preconcetti sessuali che quelli sulla razza…senza quote rosa!
Che poi: se ci sono poche donne a svolgere certi lavori, non sarà per loro scelta? Molte donne non fanno le operaie perché non vogliono spezzarsi le unghie rovinando 30 euro di manicure; non si arruolano perché non vogliono legare o taglire i capelli credendo che la sensualità sia in una chioma lunga e fluente; e nemmeno vogliono rinunciare a tacchi e trucco sul lavoro. Insomma, sono loro le prime ad alimentare quei cliché da donna-oggetto o donna-soprammobile che dicono di voler combattere… a parole!
Da secoli vogliamo che venga riconosciuta la parità tra uomo e donna. Proprio in virtù di questo nostro essere uguali agli uomini e in nome di questa secolare battaglia di uguaglianza che vogliamo portare avanti (e, il prima possibile, vincere), dovremmo rifiutarci di essere trattate in modo particolare e privilegiato. Dovremmo guardare oltre e scrollarci di dosso le stupide idee del “linguisticamente corretto”, i vecchi stereotipi e cliché, le quote rosa. Che poi il rosa è un colore davvero brutto!!!
Meditate donne. Meditate!
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