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I post di solidarietà non servono a nessuno

Oggi, per l’ennesima volta, ho letto sulla mia bacheca Facebook un lungo post di solidarietà verso i malati di tumore che si conclude con “copia e incolla questo messaggio se anche tu sei solidale”. Non se ne può più!!! BASTAAAAAAAA!Post di solidarietà

Questo grido di insofferenza non viene da una persona cinica, ma da una che un tumore lo ha dentro. E già: il tumore, come ho già accennato in un altro post [per saperne di più sulla mia vicenda personale: http://infinita-mente.com/2016/06/28/prevenzione-salvare-la-pelle/ ], mi ha colpita direttamente (non in maniera devastante perché ho avuto la fortuna di una diagnosi precoce) e tra poche ore sarò in ospedale per sfrattarlo… un’altra volta! Vi posso garantire che nessuno più di chi se lo porta dentro può sapere cosa significhi un tumore ed è proprio per questo che non ho mai copiato ed incollato quel post di solidarietà sulla mia bacheca. Anzi, vi dirò di più: questi messaggi solidali non sortiscono l’effetto di far star meglio chi soffre, casomai il contrario! Ed è proprio per questo che mi irritano parecchio! Concettualmente non sono affatto contraria alla solidarietà, ma credo che questo sia il modo meno opportuno, meno sensibile e meno delicato di essere solidali con chi soffre.

In realtà sono molti i post che passano sui social invocando solidarietà per questa o quella malattia, per questo o quel dramma umano: lunghi messaggi pieni di parole strappalacrime (scritte anche in modo assai opinabile da un punto di vista meramente grammaticale e sintattico)e accompagnati da fotografie che ritraggono la sofferenza, spesso anche dei più piccoli. Ma Patch Adams non ha insegnato niente a nessuno?! Possibile che non si riesca a capire che chi vive direttamente o indirettamente il dramma della sofferenza, della malattia, non ha bisogno di vederla e di leggerla anche nei post scritti da qualcuno che non aveva niente di meglio da fare se non mettersi a caccia di qualche “mi piace”? Che poi… che senso ha un “mi piace” sotto la foto di una dona mastectomizzata che mostra le sue cicatrici o di un bimbo affetto da leucemia e costretto a letto, in un’asettica stanza d’ospedale? Non lo trovate stridente? A me non piace affatto la spettacolarizzazione della sofferenza.

I malati hanno bisogno di distrarsi dal loro assillo perché, inevitabilmente, il tarlo nel cervello lo hanno e non va via se non va via il male del corpo. Non sanno a cosa vanno incontro, ma lo scoprono vivendo giorno per giorno con le loro malattie. Non hanno bisogno di esser demoralizzati, ma hanno bisogno di essere trattati normalmente, da persone, non da cadaveri viventi. I malati hanno bisogno di sorridere o anche di parlare seriamente della loro malattia, ma non con quel pietismo che viene confuso per solidarietà, con quel tono luttuoso che li spinge inevitabilmente a fare gli scongiuri!

Ci sono molti altri modi di esser solidali, amici miei, molto più efficaci di questi stupidi post di solidarietà. Provate a pensarci, a trovarne qualcuno che abbia l’effetto di un’iniezione di energia, di positività, di voglia di vivere. Vi faccio una preghiera, miei cari Lettori, confidando nella vostra intelligenza: smettete di copiare e incollare o di condividere certi messaggi.

Grazie!

Florinda

Florinda

Nata a Bari e cresciuta nell'hinterland, zitella per scelta altrui, da sempre "personaggio" controcorrente, si spende affinché la Cultura diventi di moda più dei tatuaggi (lei ne ha 9... per ora!) e i giovani imparino che essere individualisti (con una puntina di egocentrismo) è decisamente più appagante del farsi inglobare in un unicum omologato fatto di rituali e convenzioni. Se un dio esiste, lei gli ha chiesto in dono un cervello funzionante rinunciando ad un bel décolleté!

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