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Giovanni Falcone. A trent’anni dalla Strage di Capaci, tra ricordi e riflessioni.

Trent’anni fa moriva Giovanni Falcone, per mano della mafia.

Ricordo ancora il momento in cui appresi la notizia. Ero a casa, con amici di famiglia, a festeggiare l’ottavo compleanno di mio fratello. Un compleanno posticipato al sabato, per potersi divertire e fare tardi, senza l’ansia della sveglia. Mi venne chiesto di accendere la tv per guardare, come d’abitudine, il tg della sera.

Nessuno di noi sapeva dell’attentato che era avvenuto alle 17: 58. Eravamo lì, pronti a cenare, brindare, farci un po’ di risate e una partitella a Burraco.  Perché trent’anni fa non avevamo internet e, con una vita poco social ma molto sociale, non era facile stare sul pezzo tempestivamente.

Accesi un attimo prima della sigla. Fu la prima notizia, l’unica… non poteva essere altrimenti! Ci ammutolimmo tutti, “percossi e attoniti”. Non ci fu più festa. Non c’era più voglia di ridere. C’era, invece, la consapevolezza della tragedia e, allo stesso tempo, di un nuovo corso per la nostra società.

Ricordo le immagini dell’esplosione. A guardarle, si poteva immaginare il boato, se ne poteva sentire l’eco. Ed ancora oggi è così.

Piangevamo tutti, intorno al tavolo. Per me, quindicenne, fu un pugno nello stomaco. Conoscevo Falcone, le sue battaglie e le sue idee già da un po’; ne seguivo le interviste al Maurizio Costanzo Show e ammiravo il suo coraggio, il suo essere Uomo di legge, fonte di ispirazione per tanti giovani.

Pensai che, con quell’attentato, la mafia avesse vinto contro lo Stato, contro quella parte dello Stato non corrotta, ancora integra. Sbagliavo.

In quell’istante in cui Brusca azionava il detonatore, morivano cinque persone, ma nasceva un’Italia nuova, diversamente consapevole, forse migliore.

Il martirio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, infatti, ha svegliato le coscienze sopite e ha donato al Paese la forza di reagire alla violenza, ai soprusi, alla mafia, alle mafie.

E questo, i mafiosi, non l’avevano messo in conto.

 

 

Florinda

Florinda

Nata a Bari e cresciuta nell'hinterland, zitella per scelta altrui, da sempre "personaggio" controcorrente, si spende affinché la Cultura diventi di moda più dei tatuaggi (lei ne ha 9... per ora!) e i giovani imparino che essere individualisti (con una puntina di egocentrismo) è decisamente più appagante del farsi inglobare in un unicum omologato fatto di rituali e convenzioni. Se un dio esiste, lei gli ha chiesto in dono un cervello funzionante rinunciando ad un bel décolleté!

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