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Attendere il turno: l’arte di mettersi in fila

Ad ognuno di noi capita spesso di doversi mettere in fila: in posta, al CUP, in una sala d’attesa (studio medico, pronto soccorso, ufficiio pubblico), in salumeria,…

In piedi, seduti o al telefono, passiamo una discreta parte della nostra vita ad attendere il nostro turno, a “non perdere la priorità acquisita”. Tutto tempo sprecato, tutto tempo sottratto ad altre attività. Ho letto da qualche parte che, in media, trascorriamo quattrocento ore all’anno in coda, aspettando il nostro turno. Perdiamo, così, circa 17 giorni della nostra vita in un anno che, moltiplicati per una vita media di circa 83 anni, diventano millequattrocentoundici ossia all’incirca tre anni e dieci mesi di vita che nessuno ci restituisce più.Fila

Certo, oggi la tecnologia ci aiuta a ridurre un po’ le nostre bibliche attese: home banking, pagamenti online, acquisti via internet, Telepass e via discorrendo si traducono in un recupero di quel tempo altrimenti perduto. Ma, se da una parte la tecnologia ci viene incontro, è pur vero che da qualche altra parte la fila dobbiamo pur sempre farla: non possiamo certo farci visitare dal nostro medico via Skype, tanto per dirne una. E poi, c’è ancora tanta gente che con la tecnologia non ha dimestichezza ed è, per questo, costretta a far la fila per pagare un bollettino postale o riscuotere la pensione. E infine c’è chi è costretto a far la fila: pensate alle lunghe attese che bisogna fare mediamente in un pronto soccorso ospedaliero se si ha un codice verde!

Quindi tutta questa gente cosa fa? Si mette in coda e aspetta pazientemente. C’è chi, consapevole di dover attendere a lungo, porta con sé un libro da leggere, un giornaletto di parole crociate corredato di matita e gomma (i professionisti dell’enigmistica usano la penna!), il lavoro a maglia da ultimare, il telefono con internet  (e questi sono i più tecnologici) per affondare lo sguardo tra le pagine dei social o mandando messaggini su Whatsapp. C’è chi, invece, preferisce attendere il proprio turno guardandosi intorno ed osservando gli altri “attendenti”. Qualche volta, così, inizia a dialogare con qualcuno, a fare conoscenza. Altre volte incontra casualmente vecchi amici, conoscenti che, magari, non vedeva da tempo e non avrebbe visto ancora per molto. Beh, lasciatemelo dire: forse questo è l’unico aspetto positivo del fare sala d’attesa, specie in una società sempre più ricca di rapporti virtuali e povera di relazioni umane vere.

Comunque sia, aspettare il proprio turno, specie se la fila è lunga, non fa piacere nemmeno se si riesce ad occupare quel tempo in qualsivoglia maniera. E così, le persone in fila, solitamente, sono calme solo in apparenza. Basta davvero poco a far saltare loro i nervi.

Ed i nervi puntualmente saltano quando entra in scena il furbetto della situazione, quello che arriva e prova a passare davanti a tutti accampando banali scuse poste con aria da cane bastonato: “devo solamente lasciare ìl documento”, “devo chiedere solamente un’informazione”, “sono già venuto prima”. Qualcuno di buon cuore e in buona fede concede al furbo di saltare la fila e poi quello sta ore ed ore allo sportello o nell’ufficio. E gli altri in fila che perdono le staffe! Il furbo, poi, consapevole di aver scatenato le ire degli altri, una volta finito, sfodera il sorriso più innocente di cui sia capace, guarda tutti con affetto e gratitudine e saluta cordialmente. E gli va bene se nessuno risponde con qualche parolaccia o gestaccio… ma questo a volte accade!

Poi c’è il furbo dei furbi: quello che cerca di saltare la fila con il guizzo felino, con lo scatto di reni, insinuandosi tra chi esce dalla fila e chi sta esultando in cuor suo per esser finalmente arrivato all’agognata meta. E finge di non sentire le rimostranze di chi si è visto “usurpare” il turno. Lui guarda gli altri con aria beffarda e con il sorrisetto di chi sta pensando “per ora ti ho fregato!”. Gran bella faccia di bronzo sulla quale a chiunque verrebbe spontaneo stampare un sonoro ceffone!

E a nulla servono le transenne o gli “eliminacode”, ossia quegli apparecchietti che distribuiscono i bigliettini per far rispettare il turno, tanto, anche lì, il furbo trova sempre un buon escamotage per saltare la fila. Il furbo, infatti, spesso ha i suoi agganci all’interno degli uffici e riesce a farsi fare il “piacerino” dall’amico che ci lavora. Non ditemi che non l’avete mai fatto anche voi! Io non nego di essermi macchiata di questo “innocente delitto”!

Insomma, fare la fila è un’arte: è l’arte della pazienza, del rispetto verso il prossimo, dell’educazione. Ma anche il saper saltare la fila è un’arte: l’arte dei furbi!

Meditate gente, meditate!

Florinda

Florinda

Nata a Bari e cresciuta nell'hinterland, zitella per scelta altrui, da sempre "personaggio" controcorrente, si spende affinché la Cultura diventi di moda più dei tatuaggi (lei ne ha 9... per ora!) e i giovani imparino che essere individualisti (con una puntina di egocentrismo) è decisamente più appagante del farsi inglobare in un unicum omologato fatto di rituali e convenzioni. Se un dio esiste, lei gli ha chiesto in dono un cervello funzionante rinunciando ad un bel décolleté!

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