Stamattina l’Italia si è svegliata ed ha appreso il drammatico epilogo della scomparsa di una giovane milanese, non ancora trentenne ed al settimo mese di gravidanza: Giulia Tramontano. Ne aveva denunciato la scomparsa il compagno, padre della creatura che la ragazza portava in grembo da sette mesi.
Ad ammazzarla proprio lui, l’uomo con cui Giulia divideva la casa e la vita ma, alla luce degli eventi, non certo l’amore.
Non farò il nome dell’assassino perché credo che certi soggetti non meritino la dignità di un nome, di un’identità. Credo che per loro sia meglio l’oblio. In fondo, un detto popolare caro a mia nonna recita: “la noncuranza è il maggior disprezzo” (o qualcosa di simile) e un essere del genere merita il disprezzo, oltre l’oblio.
L’ha uccisa perché lei aveva scoperto la sua doppia vita: un’altra donna. Un’altra vittima, tradita anche lei. Perché il tradimento non è solamente fisico; o, forse, quello fisico è il tradimento meno grave. È molto più grave tradire la fiducia di chi si ama, tradirne i sentimenti.
Le ha messe incinta entrambe, ma, come suo fratello Thiago, anche quest’altro figlio non vedrà mai la luce. Almeno non dovrà vivere con la vergogna di un padre traditore e assassino.
L’omicida, sapendosi scoperto, aveva dato appuntamento alla sua compagna ufficiale e, dopo averla accoltellata più volte, ha provato a liberarsi del corpo di Giulia e del suo bimbo mai nato, bruciandoli. Ci ha provato due volte, senza riuscirci. E così ha pensato bene di sbarazzarsene come si fa con il pattume. Come se quei corpi fossero fatti di stracci e non di carne e sangue.
Alla fine, nel tentativo di farla franca, ha denunciato la scomparsa di Giulia. E mentre tutti si chiedevano che fine avessero fatto la mamma e il suo pancione e si affannavano a cercare Giulia, lui sapeva bene dov’era nascosta quella matrioska di cadaveri, dove si raffreddavano quei due corpi; ed ha anche provato a prendersi gioco degli investigatori cercando di sviare i sospetti da sé.
Solo il caso – o forse l’istinto – ha evitato che le vittime diventassero tre. Il criminale, infatti, aveva chiesto un appuntamento “all’altra” che, da poco, come e con Giulia aveva scoperto la verità.
Giulia e Thiago, però, avranno giustizia perché, alla fine, il loro assassino ha confessato, ha permesso il recupero delle sue vittime. Adesso l’omicida è in carcere, ma la giustizia non riporterà in vita Giulia e il suo cucciolo né darà ai loro cari alcun conforto.
Vi sembrerò cinica, ma casi di cronaca nera come questo, ormai, non mi stupiscono più. Nemmeno riesco più ad indignarmi.
Non mi riferisco ai soli femminicidi perché sono sempre più convinta che i femminicidi siano soltanto una della tante forme di violenza che ammalano questo mondo, senza escludere tipi di violenza e soprusi che non sfociano nella morte delle vittime.
Fateci caso: la violenza, nelle sue molteplici forme, sta diventando un appuntamento fisso sulle pagine dei giornali o nei titoli di testa dei TG, una consuetudine. Per paradosso, mi sorprendo con un certo sollievo quando non ce ne sono.
Omicidi, uxoricidi, femminicidi, sono sempre esistiti ma, rispetto al passato, c’è qualcosa di diverso.
Avete notato che ogni volta il carnefice è un narcisista patologico, un soggetto sociopatico, anaffettivo, con problemi di scollamento dalla realtà?
Questi soggetti “problematici” sono persone comuni, apparentemente normali (la normalità è un concetto ampio e assai vago ma, proprio per questo, va bene), fanno tutti parte del sistema sociale in cui viviamo.
E se il problema fosse proprio il nostro sistema sociale che, ormai, di sociale non ha più niente?
Ci stiamo alienando tutti: tra il lavoro che ci fagocita ed i meandri della rete in cui ci perdiamo per distrarci, siamo sempre meno capaci di relazionarci in modo sano, di metterci in discussione, di empatizzare. Freddi, chiusi nei nostri gusci, ognuno per sé, anche quando si è in coppia.
Come possiamo tornare indietro o, meglio, evolverci ed affrancarci da questa vita scollata capace soltanto di partorire quella violenza che, ormai, ci avvelena e quei mostri che ci indignano ma che potremmo essere noi stessi?
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