Come si può iniziare una lettera indirizzata a Susanna Tamaro? Vediamo un po’.
“Gentilissima Signora Tamaro” credo possa andar bene. Vero?
Quindi:
Gentilissima Signora Tamaro,
non mi permetto di chiamarla Susanna per ovvie ragioni di rispetto misto ad un pizzico di soggezione. Chi sono mai io per permettermi di chiamarLa per nome?!
Come impongono le buone maniere che (facendo il paio con la cultura), ormai, non s’usano più, mi presento.
Sono una modesta lettrice (per mancanza di tempo) ed un’ancor più modesta (oserei dire incompetente) appassionata di Letteratura. Ho sempre amato la composizione letteraria ma, tutt’al più, mi sono cimentata a scrivere in modo banale – così come può constatare Lei stessa – i miei pensieri in un blog. Questo!
D’altra parte, posso fregiarmi solo di un umile diploma in Ragioneria (sebbene conseguito col voto massimo che, ai miei tempi, si esprimeva in ” sessantesimi”). E, si sa: nelle scuole tecniche lo studio della Letteratura passa in secondo piano rispetto a quello di altre materie… purtroppo! Eppure, grazie a quell’istituto tecnico ed anche a scuole elementari e medie in cui si preferiva “tediare” gli alunni con i “mattoni della Letteratura” italiana e straniera anziché farli divertire con letturine antologiche in stile “Corriere dei piccoli”, oggi son qui a scriverLe.
Voglia perdonare il mio stile sempliciotto e tutt’altro che adeguato ad una scrittrice del Suo calibro. Nella vita si fa quel che si può ed io, meglio di così non “può”!
Le spiego subito il motivo della mia missiva: da Lei, Signora Tamaro, non mi sarei mai aspettata un intervento ‘sì infelice come quello di ieri, al Salone Internazionale del Libro di Torino.
Mi è parso di capire – ma potrei (e vorrei!) sbagliare – che Lei riformerebbe lo studio della Letteratura italiana togliendo dai libri di testo i “mattoni della Letteratura” e sostituendoli con qualcosa di Suo. E poi? Aggiungiamo Fabio Volo? E perché non anche Melissa P? Troppo? Il “Diario di una schiappa” può andare per i ragazzi del quarto ginnasio? Per avvicinare i giovani alla saggistica, che ne pensa del capolavoro (per me lo è sul serio!) di Giulio Cesare Giacobbe “Come diventare bella, ricca e stronza”?
Sarcasmo a parte, Signora Tamaro, Le vorrei esprimere il mio pensiero e, soprattutto, il mio rammarico rispetto alle Sue esternazioni.
Vede: durante i miei studi al DAMS di Bologna (ahimè non terminati!) e ventisei lunghi anni in cui ho dovuto affinare la nobile arte del sapermi arrangiare dando, di tanto in tanto, ripetizioni ai giovani virgulti della nostra società, ho avuto modo di leggere o rileggere autori come Verga, Pirandello, Manzoni e, andando ancora più indietro nel tempo, Dante e Boccaccio (per citare solamente i famosi “più famosi”).
Li ho amati più di quanto non facessi prima! E quell’amore l’ho trasferito tutto ai ragazzini che avevo di fronte a me. Li ho visti commuoversi sul finale di Rosso Malpelo; hanno riso delle disavventure di Mattia Pascal; hanno criticato Mastro Don Gesualdo; erano divertiti alla lettura del Decameron ed increduli al cospetto della Comedia dantesca e di come un uomo fosse riuscito a domare le parole. Mai – e quel mai lo sottolineo! – li ho visti annoiati di fronte nostra Letteratura.
La prego di notare , Signora Tamaro, come io abbia voluto ribadire il concetto di “mattoni della Letteratura”. Lei sicuramente ne avrà immediatamente capito il senso, tuttavia mi permetta di spiegarlo a qualche mio amato Lettore un po’ distratto che non avrà prontamente afferrato. Quando parlo di “mattoni” non alludo alla pesantezza della lettura; intendo, al contrario, sottolineare come quei libri rappresentino le pietre miliari, i capisaldi della nostra produzione letteraria e della nostra cultura.
E il problema è proprio qui, Signora Tamaro: il problema è nella cultura che, come accennavo in apertura di questa mia, si sta progressivamente impoverendo.
Ahimè, interventi come il Suo, quindi sono un’ulteriore minaccia all’identità culturale del nostro Paese.
Lungi da me voler fare polemica o il volermi accaparrare qualche “like”: nè l’una nè gli altri mi danno da vivere.
Per vivere faccio IL ragioniere, ma avrei anche potuto fare la scrittrice… proprio come Lei! In fondo, non ho mai avuto uno stile banalotto (come, per finta modestia e con un briciolo di ironia, affermano più su)! Ah, adesso non mi prenda per arrogante: la mia è solo consapevolezza.
E proprio quella consapevolezza, finora, mi ha frenata. Non voglio scrivere per imbrattar carte con l’inchiostro di storie senza spessore, di favolette melense e smielate. Non voglio scrivere frasi misurate col calibro per stupire il lettore meno avvezzo alla nobile Arte della scrittura, ma anche al bellissimo sport che è la lettura. Quella per me NON è Letteratura. È semplice narrativa per passare un’oretta di relax sotto l’ombrellone, mentre il vicino ascolta musica tecno a tutto volume e i bambini rischiano di affogare tra i flutti.
La Letteratura, a mio modestissimo avviso, è quella dei Maestri; di quei Grandi che Lei reputa noiosi e che cancellerebbe dai programmi scolastici già tristemente poveri di contenuti.
Ed i Maestri sono tali perché dietro le loro pagine c’era un’intenzione (quella che gli esperti chiamano “poetica”) che andava ben al di là del desiderio di raccontare una storia “strappalike” o destinata a diventare una sceneggiatura. Attraverso personaggi e racconti fluivano – e fluiscono ancora – secoli della nostra storia, quella della piccola gente del Bel Paese, coi suoi drammi, le sue miserie, le sue domande esistenziali, la ricerca infinita della felicità. O, ancora, in quelle storie erano nascosti messaggi politici al netto dei quali – siamo onesti – le storie restano sempre e comunque fantastiche.
Io non ho una poetica da far soggiacere ai miei racconti. O forse sì? Ci penserò e, se un giorno la troverò, quel giorno inizierò a fare la scrittrice. E sarà sicuramente un successo di vendite e di critica, ma soprattutto un trionfo di idee e di messaggi oltre i racconti.
Le sembra che io stia nuovamente peccando di arroganza? Mi duole anche soltanto supporre che Lei lo pensi perché, mi creda, non è così.
Per me, Signora Tamaro, l’arroganza è altrove: è in chi pensa seriamente di poter sostituire i Maestri della nostra Letteratura con racconti campioni di vendita ma carenti di una solida poetica che non sia figlia di una moda, bensì di ideali concreti e radicati. Lo dico senza offesa, senza livore, nei confronti di nessuno. Sia chiaro!
Il tedio dei giovani lettori che Lei ha denunciato ieri è cosa vera, inoppugnabile, ma non è certo cambiando i contenuti dei nostri libri di scuola che si potrà ovviare al problema. Rendere i nostri ragazzi orfani di Renzo, Lucia, Beatrice, Chichibio, Ciaula, Bastianazzo,… non è affatto una soluzione. La soluzione, l’unica possibile, è trovare nuove vie per presentare questi personaggi insieme a tanti altri per farli amare e, così, renderli immortali.
E, fatto questo, ci sarà tempo anche per leggere le opere più nuove, quelle di chi Maestro ancora non è, ma…
Questo è quanto.
Cordiali saluti.
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