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Terremoto: impariamo dal Cile come ricostruire

Da agosto gli occhi degli italiani guardano impotenti il dramma e piangono i danni causati dal terremoto. Ancora dopo mesi, lui non vuol saperne di smettere di far tremare la nostra terra e i nostri cuori.

Qui ed ora non voglio parlare del dramma che si abbatte sulla gente ogni volta che la terra trema. Non potrei dire nulla di più rispetto a quanto già scritto o detto centinaia di volte in questi giorni. Ora vorrei parlare di memoria e ricostruzione.

Memoria: siamo un Paese ad alto rischio sismico e questo lo sappiamo da moltissimo tempo. La storia ci narra di un susseguirsi di terremoti che percuote lo stivale sin da tempi antichissimi: il primo di cui si abbia notizia risale al 217 a.C. e colpì il centro Italia. [ http://www.6aprile.it/conoscere-i-terremoti/2012/06/27/i-terremoti-piu-forti-della-storia-ditalia.html ]. Da quando son nata io ce ne sono stati parecchi eppure, ogni volta, sembriamo smarriti, restiamo sorpresi, manco fosse il primo terremoto che sentiamo o viviamo (direttamente o in tv).

Ed ogni volta accade che vengan giù palazzi costruiti non tanti anni fa. Perché? Forse perché non riusciamo ad conservare a lungo la memoria storica che, invece, dovrebbe esser sempre viva. Se solo ricordassimo, forse (e sottolineo forse) costruiremmo edifici antisismici. Dico forse perché non vivo nel mondo dei sogni! So che molto spesso si costruisce cercando di risparmiare sui materiali con il risultato di aver palazzi che, poi, crollano.

E se la memoria non dovesse bastare a spingere gli uomini a costruire edifici antisismici, dovrebbe esserci altro a obbligarci a farlo. Pensate che già nel Regno delle Due Sicilie, nel 1785, il re Ferdinando IV di Borbone emanò una normativa antisismica in cui si davano precise direttive per l’edilizia. Si tratta della prima normativa antisismica europea. Ci rendiamo conto? [ https://www.architetturaecosostenibile.it/green-life/curiosita-ecosostenibili/legno-regno-due-sicilie-primo-regolamento-antisismico-556/ ]

Ma, a quanto pare, le leggi da noi ci sono anche oggi. Il problema è che non vengono rispettate, per assenza di memoria e, non fingiamo di non saperlo, per quei maledetti interessi economici. E poi non ci sono adeguati controlli ai cantieri e, se ci sono,… dai, sappiamo come funziona in Italia: paghi e chi dovrebbe vigilare chiude un occhio (o tutti e due)!

L’altra sera guardavo in tv una trasmissione mandata in onda in seconda serata su Rai 1, “Petrolio”, tutta dedicata al terremoto di questi giorni, ma non solo. Il terremoto che sta facendo paura al cuore del nostro Paese diventava il pretesto per una interessantissima inchiesta giornalistica, direi illuminante per quanti sono disposti a farsi illuminare.

Durante la trasmissione ho scoperto che in Cile hanno un evolutissimo sistema di costruzione antisismica. Il Cile, infatti, è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico. Sarà che sono una schiappa in geografia, ma ho sempre pensato che il Cile fosse un Paese povero e arretrato. E mai avrei immaginato di vedere quanto studio, quanto ingegno e quanto lavoro hanno fatto per dare sicurezza abitativa al popolo di questa lingua di terra sudamericana.

Ho potuto ascoltare l’intervista all’architetto Alejandro Aravena, l’architetto cileno vincitore del Premio Pritzker 2016 (il Nobel per l’architettura, tanto per capirci). Nel suo Paese, dopo il terremoto del 2010 c’è stato uno tsunami. È  a quest’ultimo che si deve la distruzione di intere cittadine. Le case non son crollate per il terremoto: in Cile vengono costruite tutte secondo i criteri antisismici da diverse decine di anni. l’architetto Aravena ha avuto l’onore e l’onere di costruire interi quartieri per gli sfollati.

Case costruite da A. Aravena
Case costruite da A. Aravena

Come? Individuata la zona in cui costruire, sono state costruite “mezze case”. Ad ogni famiglia sfollata, cioè, è stata assegnata una casa costruita solamente per metà: cucina, bagno e due camere. Il resto della struttura ha solamente il muro portante e gli abitanti potranno costruire quando ne avranno la possibilità economica. Le case, quindi, diventano di proprietà dei loro abitanti; dal primo momento, sono agibili e ospitali, ovviamente antisismiche (era anche superfluo dirlo). Vengono consegnate in tempi rapidi in modo da ridurre al minimo il disagio dei terremotati.

Cosa c’è di così geniale? Ve lo spiego subito: le persone non sono state parcheggiate in case prefabbricate e dimenticate lì per anni come è accaduto in passato nel nostro Paese. Hanno dovuto aspettare solamente poche settimane per entrare in una casa vera (sebbene a metà). Questo, già di per sé mi sembra molto positivo. In più, non sono stati spesi soldi per l’acquisto di unità abitative prefabbricate che, dopo l’uso, sono destinate ad essere distrutte. E poi, altri soldoni per la costruzione delle case “vere”.

In Italia la situazione è diversa: sono stati ordinati i prefabbricati che, pure, arriveranno tra alcuni mesi e, nel frattempo, gli sfollati saranno smistati alla meglio in luoghi lontani dalla loro terra oppure in enormi container coi bagni chimici, le cucine da campo, le stufe a gas e i lettini messi in fila come tanti soldatini. Solo in seguito si penserà a ricostruire sul serio. Certo, la terra trema ancora, ma anche il Cile non dorme sonni tranquilli. Eppure…

Ora. Mi pongo una domanda che ha un sapore retorico, ma che devo necessariamente fare: se ci riescono in Cile, perché noi non potremmo riuscire a fare come loro? Forse perché in Italia il malaffare regna sovrano? O forse perché abbiamo talmente tanto denaro da non saper che farcene e quindi possiamo buttarlo via? O ancora perché chi ci governa non si guarda intorno e non si informa?

E pensare che il Cile da molti anni importa dall’Italia buona parte dei sistemi antisismici che usa nella sua edilizia. Ironico, vero? Dalle mie parti si dice: “il calzolaio va in giro con le scarpe rotte”.

Meditiamo, gente, meditiamo.

Florinda

Florinda

Nata a Bari e cresciuta nell'hinterland, zitella per scelta altrui, da sempre "personaggio" controcorrente, si spende affinché la Cultura diventi di moda più dei tatuaggi (lei ne ha 9... per ora!) e i giovani imparino che essere individualisti (con una puntina di egocentrismo) è decisamente più appagante del farsi inglobare in un unicum omologato fatto di rituali e convenzioni. Se un dio esiste, lei gli ha chiesto in dono un cervello funzionante rinunciando ad un bel décolleté!

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